GLI EFFETTI DELLA SOSPENSIONE DELLA PROCEDURA ESECUTIVA PENDENTE PER L’AMMISSIONE AI PROCEDIMENTI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO.
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La questione degli effetti della sospensione della procedura esecutiva pendente, per l’ammissione alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, deve essere ricondotta, più precisamente, al mantenimento degli effetti della sospensione della procedura esecutiva in caso di mancata omologa della procedura di composizione della crisi.
Non vi è dubbio che con il provvedimento di ammissione alla procedura di composizione della crisi la procedura esecutiva pendente deve esser sospesa, ma si discute se con il diniego dell’omologa viene meno l’effetto della sospensione della procedura esecutiva.
Lo spunto di riflessione sulla questione rappresentata è dato per un intervento del giudice delegato del Tribunale di Civitavecchia il quale era stato chiamato a decidere sull’ammissibile di una proposta di accordo con i creditori, che prevedeva come domanda principale il dilazionamento del credito privilegiato, e come domanda subordinata, la liquidazione del bene oggetto di garanzia per il credito privilegiato.
All’esito dell’iscrizione a ruolo della domanda il G.D. provvedeva ad ammettere la proposta di accordo, accogliendo in prima battuta la domanda principale, fissando contestualmente l’udienza per verifica del voto da parte dei creditori.
All’udienza fissata nessun creditore si presentava, ritenendo la proposta votata favorevolmente dai creditori secondo il principio del silenzio assenso ex art. 11 L. 3/2012.
All’esito dell’udienza il GD si riservava per l’omologa dell’accordo.
A scioglimento della riserva il G. D. esprimeva il diniego di omologa dell’accordo, evidenziando secondo il proprio orientamento, la inammissibilità del dilazionamento del credito privilegiato.
All’esito di tale provvedimento il debitore impugnava innanzi al Collegio la decisione de G.D.
Nelle more del procedimento collegiale il G. D. comunicava al Giudice dell’esecuzione di riattivare la procedura esecutiva sospesa per il diniego di omologa dell’accordo. In seguito a tale comunicazione il Giudice dell’esecuzione fissava l’udienza per la nomina del Custode e delegato alla vendita.
Il provvedimento del G. D. appare illegittimo poiché la norma di riferimento all’art. 10 lett. C) prevede che la procedura esecutiva rimanga sospesa “..sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventi definitivo..”.
Nella questione rappresentata, appare evidente che il provvedimento di omologazione non fosse definitivo, poiché pendente il procedimento di impugnazione innanzi al Collegio.
Il decreto emesso dal giudice delegato, con il quale si è disposto il diniego dell’omologa, non è per sua natura definitivo potendosi proporre reclamo ai sensi dell’art. 12, comma 2, e 739 C.P.C., dinnanzi al Collegio del quale non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento, come proposto effettivamente è stato proposto nel caso preso in esame.
Ne consegue che ogni decisione in ordine alla relativa efficacia dell’impugnato provvedimento è rimessa, in prima istanza, al Collegio il quale può confermare lo stesso o revocarlo concedendo relativa omologa.
A conferma della non definitività del provvedimento di diniego dell’omologa, si evidenzia che avverso il provvedimento del Collegio è ammissibile ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost., tanto da parte dei creditori, che del debitore.
Tanto è desumibile alla luce della disciplina dettata dall’art. 182 bis L.F. in tema di accordo di ristrutturazione dei debiti e relativo procedimento di omologa, cui i giudici, anche dello stesso intestato Tribunale di Civitavecchia, fanno riferimento in via analogica, in tema di proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, stante la non piena esaustività della legge 3/12, nonché l’evidente analogia dei due istituti rientranti nell’alveo delle procedure concorsuali.
Detto articolo prevede espressamente che tanto il debitore, quanto i creditori, possano impugnare, con reclamo al Collegio, il provvedimento che rigetta o omologa l’accordo.
La decisione che ne consegue, ai sensi dell’art. 183, è impugnabile prima con reclamo in Corte d’Appello e, all’esito, con ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. poiché detta decisione incide su diritti sostanziali che, per quanto attiene al debitore, si concretizzano nel diritto soggettivo dello stesso ad avere accesso alla fase esecutiva derivante dall’omologa ed al positivo effetto che ne deriva all’esito della procedura.
Detto principio ha trovato sua corretta espressione nomofilattica nella sentenza resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 27/12/2016 n. 26989, la quale è stata chiamata a decidere se il reclamo che ha stabilito in ordine all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, dichiarandola ammissibile o rigettandola, fosse ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost.
In detta pronuncia la Suprema Corte ha innanzi tutto enucleato il seguente principio “Il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. contro i provvedimenti adottati con forma diversa dalla sentenza è consentito a condizione che essi abbiano natura sostanziale di una sentenza, nel senso che, oltre ad incidere sui diritti soggettivi di natura sostanziale delle parti, abbiano attitudine al passaggio in giudicato formale e sostanziale”.
Tanto evidenziato, la Suprema Corte ha posto la propria attenzione sui concetti di decisorietà e definitività.
Afferma la Corte che “La decisorietà, dunque, consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato, il quale, a sua volta, è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella, cioè, che si esprime in una controversia, anche solo potenziale, tra parti contrapposte, chiamate perciò a confrontarsi in contraddittorio nel processo”.
Prosegue la Corte definendo il concetto di definitività, asserendo che il provvedimento oggetto di impugnazione “non è sufficiente che abbia carattere decisorio, occorre anche che non sia soggetto a diverso mezzo di impugnazione, dovendosi altrimenti esperire anzitutto tale mezzo – appello, reclamo o quant’altro – sicché il ricorso per cassazione riguarderà il successivo provvedimento emesso all’esito”. Afferma ancora la Corte che l’elemento della definitività opera anche “quando si tratta di provvedimenti per i quali non è prevista alcuna forma di impugnazione ordinaria – realizzandosi, per l’effetto – “il presupposto della definitività in relazione al rimedio straordinario dell’art. 111 Cost.”.
Pertanto, riportando detta disciplina nell’alveo del rigetto dell’omologa dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento che qui interessa, detti elementi sono parimenti riscontrabili, con un’unica eccezione.
Sia l’art. 12 delle legge 3/12 che l’art. 182 bis L.F., prevedono che il provvedimento con il quale si è ammessa o negata l’omologa debba essere impugnato dinnanzi al Collegio, ma, mentre l’art. 183 L.F. prevede espressamente che, avverso il provvedimento collegiale del Tribunale possa proporsi reclamo in appello e, all’esito, ricorso per Cassazione, detto primo mezzo di impugnazione è assente nella legge 3/12, dovendosi ritenere che l’ordinanza emessa, per l’effetto e per quanto su evidenziato, ha efficacia di definitività ed è impugnabile ai sensi dell’art. 111 Cost.
Ulteriormente, detta pronuncia ha efficacia di giudicato, sia in quanto emessa in un giudizio contenzioso tra le parti, essendo i creditori soggetti legittimati passivi e chiamati in causa, avendo interessi contrapponibili a quelli del debitore, indipendentemente dalla costituzione degli stessi (contraddittorio potenziale), sia poiché idonea ad incidere su diritti soggettivi delle parti, identificati, per il debitore, nel diritto ad usufruire appieno della procedura e degli effetti che ne conseguono e, per i creditori, nel non vedere leso, postergato o sminuito di difesa il loro diritto di credito.
Né a diversa soluzione si potrebbe pervenire alla luce delle recenti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione (Cass. Civ., sez. VI, ord., 14 marzo 2017, n. 6516; Cassazione Civ. sez. I, del 2016 n. 1869) ed inerenti diversa situazione, ovvero sia la ricorribilità o meno in Cassazione, da parte del debitore, dell’ordinanza emessa in sede di reclamo che abbia dichiarato l’inammissibilità della proposta di piano o di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, e non ti tema di rigetto dell’omologa del piano.
Ed invero, in dette sentenze, si è dibattuta la ricorribilità in Cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice del reclamo, che ha confermato l’inammissibilità della proposta di accordo, fase antecedente e propedeutica all’omologa, ritenendo la Suprema Corte che detta statuizione, non decidendo nel contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idonea a formare giudicato e, per l’effetto, non ricorribile per cassazione.
Tanto, afferma la Corte, poiché, nulla vieta al debitore di presentare una nuova proposta di accordo a fronte di quella dichiarata inammissibile.
Infatti, il limite temporale dei 5 anni per la riproposizione, imposto dall’art. 7 legge 3/12 opera solo nel caso in cui il debitore abbia fruito degli effetti della proposta, tra i quali vi rientra a pieno titolo il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell’art. 10, comma 1 e seguenti.
Pertanto, poiché in caso di inammissibilità della proposta detti effetti, tra i quali rientra la sospensione delle procedure esecutive in corso, non possono trovare applicazione, ben potrà il debitore formulare altra e diversa proposta.
Ad ogni buon conto, è del tutto evidente che nel caso in esame non si dibatte in ordine all’ammissibilità della proposta, fase ormai superata e positivamente valutata dal giudice delegato, bensì di un provvedimento successivo con il quale si è ritenuta non omologabile la proposta di accordo, anch’esso reclamabile ai sensi dell’art. 12 legge 3/12 e ricorribile in Cassazione al suo esito.
Non sussiste pertanto, nelle more del giudizio di reclamo e di cassazione, alcun provvedimento definitivo in forza del quale si possa ritenere decaduto il diritto alla sospensione della procedura esecutiva in corso.
Avv Norberto Ventolini

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