LA QUESTIONE DEL DILAZIONAMENTO DEL CREDITO PRIVILEGIATO NELL’ACCORDO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO.
La questione del dilazionamento del credito ipotecario in ambito di applicazione della L. 3/2012 emerge ogni qualvolta il debitore propone ai creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, escludendo la vendita del bene ipotecato, prevedendo come soluzione il dilazionamento del debito ipotecario in diversi anni, e come spesso accade, proponendo la ripresa dei pagamenti secondo l’originale ammortamento del mutuo, impegnandosi di pagare il capitale e gli interessi corrispettivi pattuiti con la sottoscrizione del contratto di mutuo.
In sintesi la proposta prevede la rimessa in bonis del contratto di mutuo ormai risolto, e la proposta di pagamento in diversi anni, spesso superiori a 5, in rate equivalenti a quelle a già stabilite dal contratto di mutuo.
In sede di valutazione sui profili di legittimità della proposta, alcuni giudici hanno inteso contestare il dilazionamento del credito privilegiato ritenendo violato l’art. 8, co. 4 e art. 11 co. 2 della L. 3/12, che prevedrebbero il pagamento integrale ed immediato del credito privilegiato.
La posizione assunta dai giudici che aderiscono a questo principio, di fatto, impedisce l’applicazione della L. 3/12 in quanto tale eccezione potrebbe essere svolta, e viene svolta, non solo per i crediti privilegiati da ipoteca, bensì’ per tutti i crediti privilegiati, dai crediti tributari ai crediti di lavoro o di qualsiasi altra natura, che hanno un privilegio previsto per legge. Per tutti questi crediti, secondo parte della giurisprudenza, dovrebbe essere previsto il pagamento immediato.
Seguendo tale principio appare evidente il ridimensionamento dell’efficacia della procedura di sovraindebitamento: appare improbabile che un soggetto indebitato che intende usufruire di una procedura privilegiata per la composizione dei debiti, possa pagare tutti i crediti privilegiati entro un anno. Così interpretata la L. 3/12 sarebbe peggiorativa di altre procedure esistenti a tutela del creditore, quale ad esempio la conversione del pignoramento, in sede di procedura esecutiva, che prevede il pagamento del debito in 18 mesi dalla precisazione del credito da parte del creditore.
Ponendo la nostra riflessione sulla legittimità del dilazionamento del credito privilegiato, che se considerata tale confermerebbe il vantaggio della procedura di sovraindebitamento, si pongono in evidenza le contestazione svolte da quella parte dei giudici che, al contrario, la ritengono illegittima prendendo ad esempio l’ordinanza del 24 gennaio 2017 del tribunale di Civitavecchia (all. 1).
Sulla proposta di dilazionamento del credito privilegiato il tribunale di Civitavecchia dichiarava non omologabile la stessa, evidenziandone le seguenti criticità, racchiuse in due punti principali: 1. Violazione dei principi sul trattamento riservato ai creditori privilegiati e violazione dell’art 2741 CC.; 2) irragionevolezza della durata del piano.
In ordine al primo punto il giudice ritiene: “la previsione del pagamento del credito privilegiato vantato dalla BNL in sedici anni dall’omologa (“rate mensili di € 812,83 fino ad estinzione del debito di € 155.198,98”) rende la proposta inammissibile” tanto poiché “con riguardo alla soddisfazione dei creditori muniti di causa di prelazione, la disciplina della composizione della crisi (art. 8, comma 4, L 3/12) prevede, quali uniche eccezioni al principio del pagamento immediato, l’ipotesi di continuazione dell’attività di impresa (in tal caso il pagamento può essere differito sino ad un anno dall’omologa) e l’ipotesi di liquidazione del bene sul quale sussiste la causa di prelazione (al quale va aggiunta la stipulazione di un accordo esterno al piano con il creditore ipotecario avente ad oggetto un riscadenzamento del debito). Conseguentemente: “nessuna di tali deroghe al principio del pagamento immediato ricorre nel caso di specie, atteso che non è prevista la continuazione dell’attività d’impresa (presupposto per la fruibilità della moratoria annuale), né la liquidazione del bene su cui grava l’ipoteca, né è stato raggiunto alcun accordo esterno con il creditore ipotecario”.
Il giudice, pertanto, ritiene essenziale il pagamento immediato del creditore munito di privilegio, non ritenendo rilevante il fatto che lo stessa creditore venga totalmente soddisfatto nel proprio credito e fonda tale assunto sulla “…. necessità di prevedere il pagamento immediato (salva la moratoria di cui al comma 4 dell’art. 8 L. cit.) dei creditori privilegiati si desume, inoltre, dall’esclusione (art. 11, comma 2) del credito privilegiato dal computo dei crediti necessari ai fini del raggiungimento della maggioranza necessaria per l’omologazione dell’accordo, che non si giustificherebbe se non in virtù del pagamento integrale ed immediato….dei creditori privilegiati”.
Sotto altro profilo, rileva il giudicante che si avrebbe una evidente lesione del principio dettato dall’art. 2741 c.c. in ordine alle cause di legittima prelazione, “…atteso che i crediti di natura chirografaria otterrebbero soddisfazione anticipata rispetto a quelli di natura privilegiata”.
In ordine al secondo punto, il giudice evidenzia che “..sebbene la legge 3/12 non ponga esplicitamente una durata dell’accordo, la prevalente giurisprudenza di merito ha individuato un limite temporale di esecuzione del piano pari al quinquennio..” a tale conclusione, afferma il giudice, non può che pervenirsi considerato quale parametro di riferimento la legge 89/01 (Legge Pinto) la quale “per le procedure concorsuali, qualifica come durata ragionevole quella massima di sei anni (si richiama la pronuncia a Sezioni Unite 1521/2013 la quale, con riguardo al concordato preventivo, ha evidenziato quale elemento essenziale della risoluzione della crisi la ragionevole breve durata della esecuzione del piano”.
Le conclusioni raggiunte dal tribunale appaiono incompatibili sia con lo spirito della L. 3/12, sia con le norme richiamate dallo stesso giudice in ordine al concordato preventivo (art. 160 ess LF) ed agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis e ss LF).

Crisi da sovraindebitamento – concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti.
La legge 3/12 si pone come strumento di tutela del debitore inserita in un provvedimento di più ampia portata in materia di prevenzione e lotta all’usura.
L’eloquente titolo della norma “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché’ di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, fonda il proprio obiettivo nella possibilità di consentire “..al debitore di concludere un accordo con i creditori nell’ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dalla presente sezione”.
Per l’incompletezza e la mancanza di chiarezza della L. 3/2012, alla procedura di sovraindebitamento vengono applicati, in via analogica, i principi del concordato preventivo (160 e ss LF) e dagli accordi di ristrutturazione dei debiti (182 bis e ss LF), ai quali la stessa norma sembra rifarsi adoperando testi normativi sovrapponibili.
È proprio alla luce del rinvio alle norme sul concordato e sugli accordi di ristrutturazioni dei debiti che si evidenzia l’errore del giudice, violandone i principi.

Violazione del trattamenti dei creditori privilegiati (dilazione) e violazione dell’art 2741 CC.
Il giudice ha ritenuto non ammissibile la proposta sull’assunto che il pagamento dilazionato nel tempo del credito vantato dal privilegiato non fosse ammissibile dalla lettura dell’art. 11 co. 2 e dell’art. 8 co. 4.
Con il presente scritto si tenta di evidenziare, al contrario, l’erronea posizione assunta dal tribunale di Civitavecchia applicando ed interpretando la L. 3/12 in via analogica sui principi dettati dalla L. F. in ordine al concordato preventivo ed all’accordo di ristrutturazione dei debiti.
L’art. 11 L. 3/12, seguendo i principi dettati dall’art. 177 LF, sul raggiungimento dell’accordo dei creditori al comma 2 stabilisce: “Ai fini dell’omologazione di cui all’art. 12, è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti.
I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo, che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione…..”
L’art. 8, co. 4, della L. 3/12, seguendo i principi dell’art. 186 bis LF,
stabilisce che “La proposta di accordo con continuazione dell’attività d’impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
Tale norma, seppur non chiara nell’esposizione, può essere chiarita dalla lettura dell’art. 186 bis LF, 2 comma l. c) il quale stabilisce “… il piano può prevedere, fermo quanto previsto dall’art. 160, secondo comma, una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedenti non hanno diritto di voto”.
Ulteriore doverosa premessa alla presente riflessione è la distinzione tra “pagamento integrale”, locuzione indicata all’art. 11, co. 2, L.3/12 quale presupposto per l’esclusione del diritto di voto, e la “soddisfazione” indicata nell’art. 8 co. 1 l. 3/12, evidenziando la libertà di forma della proposta.
La norma citata distingue le forme di adempimento dell’obbligazione distinte, per modalità e tempi, tra il “pagamento integrale” e la “soddisfazione” del credito.
La “soddisfazione” del credito (integrale o meno in relazione al quantum) è una modalità di estinzione dell’obbligazione rispetto al “pagamento integrale”, sicché l’utilizzo della prima locuzione all’interno dell’art. 160, comma 2, L. F. costituisce un indice della possibilità di un alterazione, non solo quantitativa, ma anche qualitativa dei crediti assistiti da cause legittime di prelazione ( ).
Nello specifico, si è in presenza di un pagamento integrale “nel caso di un pagamento effettuato in denaro, per l’intera entità del capitale e degli interessi maturati (nella misura prevista dagli artt. 54 e 55 l.f.) e senza dilazione di pagamento rispetto alla scadenza naturale, con la conseguenza che “ in mancanza di una qualsiasi di queste condizioni e quindi con modalità satisfattorie diverse dal denaro o di dilazioni temporali o misura parziale della soddisfazione, non sarebbe ravvisabile un pagamento integrale, ma solo una soddisfazione…”( ).
A fronte di detta distinzione si è pervenuti alla conclusione che in caso di proposta di pagamento dilazionato, ancorché integrale con previsione sia del rimborso della sorte capitale che degli interessi, la dilazione nel tempo incida sotto il profilo del diritto al voto del creditore privilegiato il quale subisce un pagamento diverso dal quello integrale, inteso come pagamento totale alla scadenza, che legittima l’esercizio del diritto di voto secondo la lettura in senso positivo dell’art. 11 co. 2.
Una prima conclusione può essere individuata dalla lettura dell’art. 11, co. 2 e dall’art. 8 co. 4, sostenendo che l’obiettivo delle stesse è la regolamentazione dell’esercizio del diritto di voto finalizzato all’accordo con i creditori, escludendo alcun riferimento normativo che possa impedire di dilazionamento dei crediti privilegiati.
La moratoria prevista all’art. 8 co. 4 si pone come eccezione al principio generale previsto dall’art. 11 co. 2, che letto in senso positivo ammette il diritto di voto dei creditori muniti di privilegio in assenza del pagamento integrale. Quindi in assenza di pagamento integrale, da intendersi come pagamento totale dell’obbligazione pecuniaria alla scadenza stabilita, ma di soddisfazione del creditore, ammette (o impone) il diritto di voto dei creditori privilegiati.
Ciò significa che la libertà di forma per la proposta dell’accordo, prevista prima dall’art. 160 LF come riformato, e ribadito nell’art. 8 co. 1 che recita “La proposta di accordo o di piano del consumatore prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei crediti futuri”, è riconosciuta al debitore nella costruzione della proposta, anche in termini di dilazionamento del credito, ed è mitigata dall’esercizio di voto dei creditori privilegiati in tutti i casi in cui non sia previsto il pagamento integrale, inteso come pagamento totale ed immediato del credito privilegiato.
Fuori dei casi di esclusione dal voto previste dalle norme citate, nei casi ove sia previsto il pagamento integrale, i creditori sono ammessi al voto al pari dei creditori chirografari.
Le norme indicate dal giudice di Civitavecchia come impeditive al dilazionamento dei crediti privilegiati, al contrario ammettono il diritto di voto nel caso di mancato pagamento integrale, da intendersi anche nel caso di dilazionamento dei crediti privilegiati, cosi implicitamente ammettendo il pagamento dilazionato.
Seguendo la nostra riflessione, l’errore su cui si fonda la tesi contraria alla ammissibilità della dilazione del pagamento dei crediti privilegiati è riferibile all’interpretazione letterale e restrittiva dell’art. 11 co. 2 e 8 co. 4, omettendo di individuare la funzione di regolamentazione del voto riconosciute alle norme.
Sul punto la Suprema Corte, cassando la sentenza del Tribunale di Roma ( ) ha stabilito che “…La conferma della tesi favorevole all’ammissibilità della dilazione del pagamento dei crediti privilegiati è stata correttamente tratta, tra l’altro, a) dalla l. fall. Art. 182 ter, in tema di transazione fiscale, il quale consente espressamente il pagamento, non solo in percentuale, ma anche dilazionato di crediti per tributi muniti di privilegio e, per taluni di essi “soltanto “quello dilazionato; b) dalla l. fall. Art. 186 bis, comma 2 lett. C), secondo il quale, nel concordato con continuità aziendale, “il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, comma 2, una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto di voto”. Qui l’esclusione del diritto di voto – con una sorta di c.d “moratoria” coatta paragonabile a quella di cui all’abrogato istituito dell’amministrazione controllata, vale come conferma – a contrario – per i concordati senza continuità aziendale (come nel caso di specie) del principio generale sancito dalla l. fall., art. 177, comma 3, secondo il quale “i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’art. 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”. Ora, anche alla luce delle finalità perseguite dal Legislatore con decreto c.d. correttivo, così come esplicitate nella Relazione, non vi è chi non veda che, se la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei crediti privilegiati, allora il pagamento dei crediti medesimi con dilazione superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura (e della stessa liquidazione, in caso di concordato c.d. 2liquidativo”) equivale a soddisfazione non integrale di essi. Ciò a causa della perdita economica conseguente al ritardo (rispetto ai tempi” normali”) con il quale i creditori conseguono la disponibilità delle somme ad essi spettanti. Nella concreta fattispecie il Tribunale …aveva errato nel ritenere inammissibile una dilazione del pagamento dei crediti privilegiati.”. ( )
Le superiori pronunce hanno fondato l’ammissibilità della dilazione dei crediti ipotecari su una corretta interpretazione degli articoli 160, comma 2 e 177, comma 3 e 183 ter della L. F., sul presupposto che non vengano pagati integralmente.
In conclusione si può sostenere, con un ragionevole margine di certezza, che la norma, se da un lato non preclude espressamente la soddisfazione dei creditori privilegiati in via dilazionata, dall’altro lato postula l’ammissibilità di forme di adempimento dell’obbligazione distinte, per modalità e tempi, dal “pagamento integrale”, prevedendo espressamente la “soddisfazione” del credito anche dilazionata, riservando il diritto di voto ai creditori interessati.
L’evoluzione giurisprudenziale, attenta alla necessità di controbilanciare gli interessi sia del debitore, che del creditore, non pone oggi alcun limite alla fattibilità di un accordo che preveda il pagamento dilazionato dei crediti privilegiati, da un lato, al fine di garantire il debitore in ordine alla possibilità di corretta esecuzione dell’accordo ed alla luce delle sue effettive possibilità economico/finanziare, dall’altro, garantendo al creditore, in presenza di pagamento non integrale (dilazionato nel tempo oltre l’anno) il diritto al voto al fine di poter valutare la convenienza dell’accordo.
In ultima analisi non si può non evidenziare l’eccesso di potere con cui il giudice di Civitavecchia abbia dichiarato inammissibile la proposta di dilazionamento del credito privilegiato.
Si rileva che la l. 3/2012 ammetta il sindacato del giudice in ordine alla legittimità dell’accordo sotto il profilo giuridico, prevedendo la corrispondenza della proposta ai requisiti e documenti richiesti dalla norma stessa, escludendo il potere di intervento in merito alla valutazione economica della modalità di pagamento e della durata. Tale potere è legato ad un giudizio prognostico che fisiologicamente presenta elementi e margini di opinabilità soggettivi per i singoli creditori ed implica possibilità di errore e di valutazione. E’ pertanto ragionevole, in coerenza con l’impianto generale dell’istituto e con la spiccata natura negoziale dello stesso, che di tale valutazione si facciano carico i creditori i quali sono gli unici in grado di valutare la fattibilità ed il vantaggio dell’accordo in relazione con i loro specifici interessi, esprimendo il giudizio attraverso il riconosciuto diritto al voto, ritenendo precluso al giudice ogni intervento per la valutazione economica della proposta di accordo.
Solo per completezza di esposizione si rileva che il potere di valutazione economica è conferito al giudice in ordine al piano del consumatore ove è escluso il voto dei creditori. La valutazione di inammissibilità del piano dovrebbe trovare giustificazione nella inidoneità a soddisfare i creditori in qualsiasi misura, oppure per nella immeritevolezza del debitore che con la propria condotta ha determinato la dichiarazione di preclusione da parte del giudice.

Violazione dell’art. 2741 c.c.
A fondamento della propria decisione, il giudice di Civitavecchia ha ritenuto che la dilazione del pagamento avrebbe inciso anche sulla violazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione, di cui all’art. 2741 c.c., e ciò in quanto i crediti di natura chirografaria “otterrebbero soddisfazione anticipata rispetto a quelli di natura privilegiata, essendo previsto un pagamento dei chirografari non successivo, ma parallelo a quello ipotecario”.
In altre parole il giudice contestava la violazione dell’ordine dei privilegi in quanto i creditori chirografari ed il creditore privilegiato, per il quale era stata proposito il dilazionamento del pagamento, sarebbero stati pagati parallelamente escludendo la priorità di quello privilegiato.
Dall’esame delle norme di riferimento emerge che l’art. 54 LF sul – diritto dei creditori privilegiati nella ripartizione dell’attivo – stabilisce che “I creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per capitale, gli interessi e le spese; se non sono soddisfatti integralmente concorrono, per quanto è ancora dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni dell’attivo…”
Per l’ordine di distribuzione delle somme l’art. 111 l.f. stabilisce che “Le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo sono erogate nel seguente ordine:
a) Per il pagamento dei crediti prededucibili;
b) Per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge;
Nell’ipotesi di una proposta di accordo che preveda il pagamento del creditore privilegiato parallelamente a quelli chirografari, escludendo la vendita del bene immobile oggetto di garanzia, non si ritiene violato il principio stabilito dall’art. 2741 CC.
Infatti il creditore privilegiato, nel caso preso ad esame, non ha subito alcuna violazione in ordine all’esercizio del proprio privilegio, in quanto nessuna massa attiva si è costituita poiché il bene non è stato venduto. Al contrario, il creditore privilegiato ben potrà esercitare il proprio privilegio nel caso in cui il debitore dovesse risultare inadempiente all’accordo raggiunto di pagamento dilazionato, e procedere ai sensi dell’art. 14 l. 3/12, all’impugnazione dell’inadempimento per la risoluzione dell’accordo e procedere alla esecuzione forzata individuale.
Ne consegue, pertanto, che nessuna violazione è possibile riscontrare dell’art. 2741c.c., sia sotto il profilo della posizione di preferenza garantita dalla norma ai creditori privilegiati, sia perché gli stessi non subiscono alcuna postergazione del pagamento del loro credito rispetto ai chirografari.

Ragionevole durata dell’accordo.
Proseguendo sui motivi di inammissibilità evocati dal giudice di Civitavecchia, il secondo motivo di diniego il giudicante lo ha identificato nella violazione della ragionevole durata della procedura.
Sebbene la legge 3/12 non ponga esplicitamente una durata predeterminata del piano, il giudice ha dato seguito alla prevalente giurisprudenza che avrebbe identificato il termine di ragionevole durata in un quinquennio. Sul punto il giudice cita le sentenze del Tribunale di Rovigo del 16.12.2016, del Tribunale di Treviso del 21.12.2016, seppur con riguardo alla diversa fattispecie del “piano del consumatore”, sostenendo l’estensibilità dei principi al procedimento di accordo, e comunque trattandosi di disciplina rientrante nell’alveo delle procedure concorsuali, il parametro di riferimento si riscontrerebbe nella L. 89/01 (legge Pinto) che per dette procedure qualifica come durata ragionevole quella di 6 anni (in tal senso cita sentenza Cassazione S. U. 1521/2013).
Anche sul punto si ritiene che la decisione del giudice sia frutto di una interpretazione incoerente con i precetti della L. 3/2012. Il giudice, premettendo che la legge 3/12 non prevede un limite di durata del piano, ritiene doversi identificare lo stesso alla luce della ragionevole durata.
Tale presupposto interpretativo appare è errato in quanto la L. 3/12 ben evidenzia la durata della procedura all’art. 12 bis ove espressamente prevede al co. 6 che “L’omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta”.
Tale norma deve essere letta alla luce del principio generale sancito in materia di concordato all’art. 181 L.F. sulla – Chiusura della procedura- che stabilisce: “La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’art. 180. L’omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione del ricorso ai sensi dell’art. 161.”
L’assimilazione della procedura di sovraindebitamento al concordato prevede, secondo il medesimo principio, la chiusura della procedura all’omologazione entro e non oltre sei mesi dalla domanda.
Ulteriore conferma del principio sancito dall’art. 12 bis L. 3/12 è la previsione della deroga a tale principio prevista dall’art. 14 quinquies, il quale, al comma 4 prevede che “La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione e, in ogni caso, ai fini di cui all’art. 14 undicies, per i quattro anni successivi al deposito della domanda”.
Orbene è di tutta evidenza che la citata legge Pinto, alla base della determinazione della ragionevole durata, non trovi applicazione nel caso di specie, in quanto la stessa prevede la durata massima di sei anni con riferimento a procedimenti concorsuali (giudiziali) finalizzati alla vendita dei beni e soddisfazioni dei creditori.
Nel caso che ci riguarda il termine ridotto a sei mesi si giustifica con l’obiettivo del procedimento di raggiungere la conclusione dell’accordo con i creditori. Ciò significando che tutti gli eventi successivi all’omologa di tale accordo non riguardano la procedura, bensì l’esecuzione dell’accordo con risvolti privatistici ed efficacia esclusiva tra le parti.
In altri termini, con la chiusura della procedura all’omologa dell’accordo, il tempo successivo previsto per il pagamento dilazionato dei debiti non può essere imputato alla procedura ormai chiusa, bensì alla sola esecuzione dell’accordo concluso.
Solo per completezza di esposizione si evidenzia che la norma prevista dalla L. Pinto e richiamata dal giudice potrebbe essere assimilata a quella prevista dall’art. 14 quinquies L. 3/2012, da intendersi quale tempo per l’esaurimento della procedura di liquidazione, che non è applicabile all’ipotesi di pagamento dilazionato del debito.
Pertanto, la legittimità del pagamento dilazionato oltre i 5 anni dei crediti privilegiati appare soddisfatta anche sotto il profilo del principio della ragionevole durata, inapplicabile alla procedura di sovraindebitamento, se non nei limiti della procedura liquidatoria.

Avv. Norberto Ventolini

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